sabato 3 dicembre 2016

Is Italy's party politics doomed?

A few days are left to a watershed event that could reshuffle cards within Italian party politics. Matteo Renzi’s outliving seems to be depending on the confirmation of the constitutional amendments on a national referendum expected for the next 4 December. The question at stake is crucial. Not only the constitutional reform has been promoted by his Democratic Party-led government, but Mr. Renzi has been standing up in first person for the past three years, both seizing the spotlight and grabbing the main political debates. The resulting sense of open personalization would entail – in case of a failure, that is a NO-vote victory – if not an immediate resignation, just an attempt to go on after broad agreements with other main forces in Italian party politics, Silvio Berlusconi’s Forza Italia in primis, according to rumours.

venerdì 5 agosto 2016

Gramsci, Manzoni e mia suocera. Quando gli esperti sbagliano le previsioni politiche

Scritto nel 2011, dopo il successo del “sì” ai quattro quesiti referendari su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento, questo libretto di Ilvo Diamanti (Gramsci, Manzoni e mia suocera. Quando gli esperti sbagliano le previsioni politiche, Il Mulino, 2011) suona come un j’accuse nei confronti di un certo approccio, impostosi negli anni come dominante nella disciplina politologica. La tesi di fondo, come suggerisce il sottotitolo, muove dalla presa d’atto che la scienza politica, sapere specialistico fondato sull’osservazione dei fenomeni e sulla formulazione di ipotesi da verificare empiricamente, non sempre azzecca le «previsioni». Chiaramente, in questa sede diamo per scontato che le «previsioni» formulate nell’ambito delle scienze sociali non possono minimamente essere associate a quelle elaborate dalle scienze «fisiche». Come spiega bene Angelo Panebianco in un saggio del 1989[1], rifacendosi ad Hempel, le previsioni delle scienze sociali non sono altro che «generalizzazioni su base statistica» (del tipo: se A, allora B nel 70% dei casi) e quindi più assimilabili a induzioni di tipo probabilistico.

martedì 2 agosto 2016

Quel trade-off che separa i sedicenti o presunti esperti dagli scienziati sociali

Nella seconda metà dello scorso mese di luglio ho avuto modo di assistere ad alcune discussioni su Facebook fra presunti, sedicenti o effettivi esperti di questioni turche. Una ridda di commenti sulla bacheca di uno, poi su quella di un altro e quindi su quella di un altro ancora. Oggetto del contendere: le interpretazioni riguardo agli eventi legati al fallito colpo di Stato ai danni del legittimo Governo a guida AK Parti e del Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan. Con la riflessione che segue non intendo minimamente addentrarmi nel merito della questione. Non mi interessa: l’ho già fatto in maniera ampia in almeno un paio di occasioni, utilizzando spazi più «istituzionali» e meno «dispersivi» di un social network qual è Facebook, ove chiunque, non unicamente gli esperti, è invitato democraticamente a commentare[1].

mercoledì 27 aprile 2016

Una democrazia possibile

(recensione al libro di Marco Almagisti, Una democrazia possibile. Politica e territorio nell'Italia contemporanea, editore Carocci, 2016. Già apparsa sul sito web dell'Istituto di Politica e disponibile al seguente link: http://www.istitutodipolitica.it/wordpress/2016/04/27/quando-e-la-storia-che-spiega-lattualita-politica-libreria-linnovativa-ricerca-di-marco-almagisti/). 
Come sono cambiate le principali culture politiche italiane nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica? Come sono sopravvissute sino ad oggi? Sotto quale forma si presenta il capitale sociale oggi? Mediante quali criteri una democrazia di qualità può essere definita tale? E’ possibile parlare di democrazia di qualità con riferimento al caso italiano? Sono questi solamente alcuni dei quesiti di fondo che hanno mosso l’intensa attività di ricerca del politologo Marco Almagisti negli ultimi quindici anni e che vedono raccolti i suoi sforzi in quest’ultimo lavoro intitolato Una democrazia possibile. Politica e territorio nell’Italia contemporanea (Carocci, 2016). Ispirandosi ai lavori pionieristici sulla cultura politica e sul capitale sociale, quale ad esempio l’opera di Putnam (Mondadori, 1993) sul rendimento istituzionale delle regioni italiane – in base a cui le differenze di rendimento istituzionale di regioni italiani diverse, pur adottando simultaneamente a partire dal 1970 il medesimo sistema istituzionale, andrebbero attribuite a tradizioni storico-politiche che affondano le proprie radici nell’esperienza comunale del Medioevo italiano – l’autore focalizza l’attenzione sul concetto di «capitale sociale» come principale fattore esplicativo e presupposto empirico per una democrazia di qualità. Ricorrendo alla metodologia di ricerca tipica della politologia storica, Almagisti tenta di spiegare elementi di continuità e di discontinuità riguardanti il voto, le tradizioni e le pratiche politiche, i riti collettivi, l’organizzazione della società e delle attività economiche nel passaggio dalla nascita del Regno d’Italia, passando per il periodo fascista e dal Secondo dopoguerra ai giorni nostri – con riferimenti storici anche alle vicende dell’Italia pre-unitaria. La sua riflessione parte dalla presa d’atto che per studiare i fenomeni politici contemporanei sia necessario superare la diffusa tendenza di certa politologia al «presentismo», approccio che ritiene di poter spiegare gli eventi politici contemporanei rinunciando ad un’analisi inserita in una dimensione storica, per recuperare pienamente un tipo di ricerca storiografica che cerca anche nel passato le spiegazioni dei fenomeni del presente. E’ così che al centro della sua analisi vengono poste le cosiddette «subculture politiche territoriali», ritenute significative nel dar conto dell’evoluzione delle tendenze del panorama politico italiano, la Toscana «rossa» ed il Veneto «bianco». Richiamandosi alla definizione di Carlo Trigilia, per «subcultura politica territoriale», Almagisti intende «”un particolare sistema politico locale, caratterizzato da un elevato grado di consenso per una determinata forza e da una elevata capacità di aggregazione e mediazione degli interessi a livello locale” che si esprime in una fitta rete istituzionale (partito, Chiesa, gruppi di interesse, associazioni assistenziali, culturali e ricreative) coordinata dalla forza dominante» (p. 83).

martedì 19 aprile 2016

I sistemi elettorali. Appunti per una lezione accademica

«Le elezioni sono l’istituzione che definisce la democrazia moderna» [Katz 1997].
«Le elezioni sono procedure istituzionalizzate per la scelta di rappresentanti selezionati fra alcuni o tutti i membri ufficialmente riconosciuti di una organizzazione» [Rokkan 1970, traduz. it. 1982, p. 231].
«Le elezioni sono un mezzo per istituire una competizione per una carica pubblica e per valutare l’operato del Governo in carica» [Hague & Harrop 2011, p. 157].

Le elezioni sono meccanismi congegnati per tradurre i voti in seggi, cioè in cariche pubbliche. Le definizioni riportate qui sopra fanno riferimento prevalentemente alle elezioni che avvengono in sistemi democratici. Una previsione come nella citazione tratta dal manuale di Hague e Harrop presenta almeno due concetti che pare difficile affibbiare ad un modello di regime non democratico. Gli attributi della “competizione” e della “valutazione dell’operato del Governo” (attività che avviene nei Parlamenti per compito di un’opposizione responsabile[?]) sono infatti tipici delle democrazie ed in particolare delle democrazie liberali. Essi, peraltro, qualificano una democrazia di qualità: la “valutazione dell’operato del Governo” rinvia, necessariamente, al concetto di «accountability interistituzionale» (Almagisti 2016) che costituisce una delle dimensioni di variazione della qualità democratica.
A tutt’oggi, nella maggior parte delle democrazie viene adottato il suffragio universale che ha esteso il diritto di voto a tutti i cittadini senza distinzioni di sesso, razza, censo, opinioni politiche, ecc., con l’unico limite dato da un criterio anagrafico: occorre aver compiuto 18 anni per recarsi alle urne ed esprimere il voto. Questo aspetto è comunemente noto come universalità del voto.

giovedì 12 novembre 2015

La democrazia senza partiti

(recensione al libro di Damiano Palano, La democrazia senza partiti, Edizioni Vita & Pensiero, 2015. Già apparsa sul sito web dell'Istituto di Politica e disponibile al seguente link: http://www.istitutodipolitica.it/wordpress/2015/11/05/una-democrazia-senza-partiti-sullultimo-libro-di-damiano-palano/)
Qual è lo stato di salute dei partiti nei regimi democratici? Che grado di legittimità riscuotono all’interno della società? Che parabola hanno seguito e quale bilancio è possibile tracciarne? Sono questi i quesiti di fondo a cui il nuovo libro di Damiano Palano tenta di rispondere. Come ricorda Norberto Bobbio, fin dalla loro nascita – databile fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo scorso – i partiti sono concepiti come strutture fondamentali per l’aggregazione delle domande provenienti dalla società, quei corpi intermedi la cui funzione viene talmente magnificata al punto che per lungo tempo vengono considerati indispensabili per la sopravvivenza stessa della democrazia. Fotografati inizialmente come strutture oligarchiche – secondo la celebre definizione di Robert Michels – i partiti si celano in realtà dietro ad una facciata di apparente democrazia. Secondo Max Weber, che per primo osserva il tramonto del «partito di notabili» e l’avvento del «partito di massa», grazie alla loro progressiva «burocratizzazione», i partiti finiscono per esprimere un ceto di veri e propri «professionisti della politica» e di leader carismatici in grado di controllare sempre più il consenso grazie al cosiddetto «potere della cricca», un preludio all’avvento della democrazia plebiscitaria.

mercoledì 21 ottobre 2015

La scienza politica. Per una distinzione rispetto alla filosofia politica a partire da una preliminare lettura di Giovanni Sartori


Cosa si intende per «scienza politica»?[1] Come si fa ad associare alla parola «politica» la parola «scienza»? In che modo l’idea di «politica» può essere ammantata di un crisma scientifico? Per rispondere a queste domande, conviene partire dai classici. E per «classici» in questo settore, mi riferisco innanzitutto a Giovanni Sartori. Qualcuno potrebbe eccepire che Giovanni Sartori, vivente (1924-), non può essere considerato già un classico. Ma, in primo luogo, la scienza politica è una disciplina relativamente giovane. In secondo luogo, i lavori di Sartori sono talmente pionieristici che è difficile non considerarlo, giustappunto, già un classico. E’ lui, almeno in Italia, ad aver scavato un solco nella vecchia tradizione delle discipline che si occupavano direttamente o in maniera tangenziale della politica (la sociologia, la filosofia politica, il diritto pubblico, l’economia politica, la storia). La necessità che egli avvertiva era quella di definire la «cosa» (cos’è la «politica»?) e per farlo ritenne che fosse necessario partire dall’emancipazione rispetto agli altri settori di studio. Occorreva, in sostanza, “inventarsi” una nuova disciplina. In questa sede, non intendo aprire parentesi sugli aspetti storico-biografici che lo hanno condotto a “fondare” e, di fatto, contribuire all'istituzionalizzazione della scienza politica nel nostro Paese, ma rinvio alla ricostruzione assai gustosa che egli propone in diversi suoi contributi, limitandomi a segnalarne uno, l’appendice che si trova in Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali (Il Mulino, Bologna, 2011).