mercoledì 21 ottobre 2015

La scienza politica. Per una distinzione rispetto alla filosofia politica a partire da una preliminare lettura di Giovanni Sartori


Cosa si intende per «scienza politica»?[1] Come si fa ad associare alla parola «politica» la parola «scienza»? In che modo l’idea di «politica» può essere ammantata di un crisma scientifico? Per rispondere a queste domande, conviene partire dai classici. E per «classici» in questo settore, mi riferisco innanzitutto a Giovanni Sartori. Qualcuno potrebbe eccepire che Giovanni Sartori, vivente (1924-), non può essere considerato già un classico. Ma, in primo luogo, la scienza politica è una disciplina relativamente giovane. In secondo luogo, i lavori di Sartori sono talmente pionieristici che è difficile non considerarlo, giustappunto, già un classico. E’ lui, almeno in Italia, ad aver scavato un solco nella vecchia tradizione delle discipline che si occupavano direttamente o in maniera tangenziale della politica (la sociologia, la filosofia politica, il diritto pubblico, l’economia politica, la storia). La necessità che egli avvertiva era quella di definire la «cosa» (cos’è la «politica»?) e per farlo ritenne che fosse necessario partire dall’emancipazione rispetto agli altri settori di studio. Occorreva, in sostanza, “inventarsi” una nuova disciplina. In questa sede, non intendo aprire parentesi sugli aspetti storico-biografici che lo hanno condotto a “fondare” e, di fatto, contribuire all'istituzionalizzazione della scienza politica nel nostro Paese, ma rinvio alla ricostruzione assai gustosa che egli propone in diversi suoi contributi, limitandomi a segnalarne uno, l’appendice che si trova in Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali (Il Mulino, Bologna, 2011).

Ciò che mi interessa, invece, è fornire al lettore una definizione esaustiva di “scienza politica”. La prima e più rilevante caratteristica di questo concetto è relativa alla distinzione rispetto alla “filosofia politica”. Secondo Sartori vi sono differenze sia metodologiche, sia ontologiche. E’ bene osservare, fin da subito, che le prime dipendono dalle seconde. Ma è anche vero che, probabilmente, proprio per quanto concerne l’emancipazione della scienza politica dalla filosofia politica, le differenze di metodo sono più rilevanti di quelle di merito. E sono queste, alla fine, che Sartori fa emergere prepotentemente. Mi spiego meglio. E’ evidente che per studiare un determinato fenomeno, per capirne a fondo il suo funzionamento si deve innanzitutto affinare un metodo che fornisca gli strumenti adeguati per afferrarne il significato. Si sceglie un metodo in funzione della cosa studiata. Decidiamo di servirci di un determinato metodo elaborato dalla scienza politica invece che dalla filosofia, ad esempio, per comprendere le ragioni che spingono molti individui di fede islamica a sposare la causa dell’islamismo contro le politiche occidentali in Medio Oriente. Non si studia una «cosa» se non si dispone di un metodo sufficientemente affinato per comprenderne a fondo il suo funzionamento.
Quello che principalmente distingue la scienza politica dalla filosofia politica, secondo Sartori, è il ricorso ad una metodologia scientifica fondata sull’osservazione e sulla verifica dei fatti. La scienza politica è maggiormente assimilabile a discipline «classificatorie» (che, peraltro, si distinguono dalle scienze fisicaliste «esatte») quali la botanica, la mineralogia, la zoologia e, in parte, la biologia e la medicina. A differenza della scienza politica, la filosofia è una disciplina disinteressata ad osservare e ad accertare i fatti, ma è orientata alla ricerca della verità. La filosofia politica, argomenta Sartori, non si appoggia su alcun metodo; o, meglio, l’unico metodo possibile è il «corretto ragionare» cioè la logica. La peculiarità che, quindi, contraddistingue la scienza politica consiste nel basarsi sulla ricerca empirica. Come sintetizzato efficacemente da Norberto Bobbio, sono tre le linee lungo le quali è possibile marcare la distinzione fra filosofia e scienza politica ed esse fanno riferimento al metodo, cioè al «trattamento» della cosa studiata: a) mentre la filosofia opera rispondendo ad un criterio di verità (riscontrabile sottoforma di «coerenza deduttiva»), la scienza politica mira alla verificazione; b) se lo scopo precipuo della filosofia è la giustificazione, quello della scienza politica è la spiegazione; c) la filosofia presuppone la valutazione, mentre la scienza politica è costitutivamente avalutativa. Sempre Bobbio enumera cinque dicotomie che contraddistinguono il rapporto fra le due discipline: a) la filosofia si basa su un discorso assiologico-normativo, mentre la scienza politica su un discorso descrittivo-avalutativo; b) la filosofia è concezione universale, mentre la scienza è segmentata; c) il sapere della scienza e quello della filosofia si distinguono rispettivamente in sapere cumulativo e sapere non-cumulativo; d) la filosofia è intesa come indagine metafisica su «essenze», mentre la scienza è rilevazione di «esistenze»; e) la scienza è un sapere applicabile, viceversa il sapere filosofico non è applicabile alla realtà.
Quest’ultimo punto presenta un problema secondo me. Se è vero che la scienza politica si caratterizza per essere un sapere fondato sia sulla ricerca, cioè su strumenti atti a osservare i fatti presenti nella realtà per convalidare teorie, sia sulla dimensione operativa, cioè la traducibilità della teoria in pratica, Sartori sostiene che la ragione fondamentale per cui la filosofia politica non ha mai saputo fornire un programma di azione applicabile risiederebbe nel fatto che, finora, «da Platone a Marx questi “programmi filosofici” sono falliti; il loro esito non è stato quello previsto e desiderato» (Sartori 2011, 83). In realtà, in base alla teoria della falsificabilità che ci deriva da Popper (secondo cui tutti i cigni sono bianchi finché non ne incontriamo uno nero), affermare che il sapere filosofico è inapplicabile solo perché finora si è dimostrato tale storicamente, non significa affatto aver trovato il limite della filosofia rispetto alla scienza; che, invece, risiede proprio (e Sartori lo sa benissimo) in quel fondamento empirico della scienza che manca totalmente alla filosofia.
Un’ultima interessante distinzione fra filosofia e scienza politica che viene avanzata da Sartori sta nello «spartiacque linguistico». Per lui filosofia è, fondamentalmente, concipere, laddove essenza della scienza politica è percipere. Ancora una volta, mentre la filosofia non si preoccupa di accertare i fatti, al contrario la scienza politica osserva empiricamente la realtà, immagazzinandone i dati e a partire da quelli formula quelle generalizzazioni che servono a costruiscono le leggi e quindi, in ultima istanza, le teorie. Questo perché la filosofia risponde all'esigenza di indagare il perché, mentre la scienza è interessata a capire anzitutto come le cose accadono. La filosofia è un sapere deduttivo (dall’universale spiega il particolare), mentre la scienza è induttiva (osserva il particolare per arrivare a spiegare l’universale). In realtà, anche la scienza mira al perché delle cose, nel senso che è orientata alla spiegazione, alla ricerca sempre rigorosamente empirica delle cause che stanno dietro ai fenomeni osservabili; con la precisazione che, nella scienza, la descrizione è logicamente anteposta alla spiegazione. (continua...)



[1] Per scrivere questa riflessione mi sono servito principalmente di due contributi di Giovanni Sartori, L’idea di politica e Filosofia, scienza e valori, entrambi contenuti in G. Sartori, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali (Il Mulino, Bologna 2011) e precedentemente apparsi nel suo volume La politica. Logica e metodo in scienze sociali (Sugar & Co. 1979). Un contributo interessante che sviluppa gli stessi temi qui trattati, anche se con una prospettiva differente, si trova in Danilo Zolo, I possibili rapporti fra filosofia politica e scienza politica. Una proposta post-empiristica, Teoria Politica n. 3, 1985, pp. 91-109.

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