martedì 2 agosto 2016

Quel trade-off che separa i sedicenti o presunti esperti dagli scienziati sociali

Nella seconda metà dello scorso mese di luglio ho avuto modo di assistere ad alcune discussioni su Facebook fra presunti, sedicenti o effettivi esperti di questioni turche. Una ridda di commenti sulla bacheca di uno, poi su quella di un altro e quindi su quella di un altro ancora. Oggetto del contendere: le interpretazioni riguardo agli eventi legati al fallito colpo di Stato ai danni del legittimo Governo a guida AK Parti e del Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan. Con la riflessione che segue non intendo minimamente addentrarmi nel merito della questione. Non mi interessa: l’ho già fatto in maniera ampia in almeno un paio di occasioni, utilizzando spazi più «istituzionali» e meno «dispersivi» di un social network qual è Facebook, ove chiunque, non unicamente gli esperti, è invitato democraticamente a commentare[1].

Ciò che mi interessa rilevare in questa sede è la profonda frattura, all’interno del campo degli esperti di una determinata questione (in tal caso, la politica turca) che separa coloro che vivono il problema dall’interno e coloro che lo commentano dall’esterno. Una divisione che segna profondamente il campo di coloro che studiano una questione vivendo «dentro» al contesto da analizzare e coloro che invece da quel contesto sono fisicamente alieni, almeno al momento in cui decidono di operare un’analisi. Ebbene, non ho potuto fare a meno di notare una tendenziale presunzione di superiorità intellettuale e cognitiva da parte di coloro che popolano la prima frazione di studiosi. Una presunzione che ha toccato punte di arroganza e snobismo che non fanno certo onore a chi realmente ritiene di essere esperto di una determinata questione. Sedicente o presunto esperto, a questo punto, in funzione della mera associazione fra la propria esperienza o maggior cognizione di causa riguardo a quella questione ed il «vantaggio» di trovarsi geograficamente prossimo al luogo in cui si verificano gli eventi.

Per fortuna che, trattandosi di «politica turca», i sedicenti esperti (ribadisco il loro punto di vista: esperti giacché vivono in Turchia. Ma allora mi chiedo: perché scomodare uno scienziato quando si può andare al Grand Bazaar di Istanbul e chiedere l'opinione di un commerciante o di un cliente?) erano per lo più identificabili con la professione dello «scienziato politico», benché qui inteso in senso lato – vi faccio rientrare, per gli scopi della presente riflessione, non solo i politologi, ma anche gli storici e i sociologi – ma non troppo – escluderei infatti i giornalisti.

E’ bene che io faccia una premessa metodologica. Uno studioso d’area, per essere realmente esperto, dovrebbe non solo aver studiato sui libri, ove apprende le tecniche di ricerca e conosce il problema da studiare sotto il profilo storico e costitutivo, ma anche aver effettuato un viaggio di ricerca nel luogo in cui si svolge il fenomeno che egli studia. Solo così, egli potrà affinare anche le medesime tecniche di ricerca, ricorrendo ad interviste, questionari o, nei casi di ricerca etnografica, alla cosiddetta tecnica dell’«osservazione partecipante»; e, di conseguenza, andare ancor più a fondo nel suo studio e nella sua ricerca. L’interpretazione dei fatti è, però successiva. Dipende in gran parte dall’insieme di prospettive e approcci che a loro volta formano le grandi tradizioni di ricerca del pensiero politico (ad esempio: liberalismo, realismo politico, marxismo). Uno studioso marxista fornirà una versione degli eventi post-golpe differente dalla versione fornita da uno studioso che adotta un approccio liberale. E questo, a prescindere dal fatto che entrambi vivano ugualmente all’interno della Turchia o in un altro Paese.

Conoscere il fenomeno di cui si sta parlando e che si pretende di spiegare in modo scientifico (cioè: ricorrendo ad una scienza, ad un sapere sistematico) presuppone che si sia entrati in contatto direttamente col fenomeno stesso, non solo attraverso la mediazione dei libri o dei quotidiani. Chi intende parlare di politica turca è chiamato ad aver vissuto almeno per un po’ in Turchia, ad averla visitata, ad aver scambiato opinioni con la gente, ad aver respirato l’atmosfera che solo stando lì si può comprendere e di cui si viene permeati. Ma, per pretendere di essere esperti di Turchia, come di qualsiasi altro oggetto delle scienze sociali, occorre conoscere il problema e tentare, per quanto si può, di essere obiettivi, non lasciandosi accecare da ideologie di qualunque sorta, ivi compresa quella fondata sulla presunzione che vivendo in un determinato luogo si riesca a comprenderlo e a spiegarlo meglio, in modo più obiettivo, di chi vive all’esterno.

Il punto cruciale è proprio questo: vivere in Turchia costituisce un enorme vantaggio per uno studioso che studia e fa ricerca sulla politica e sulla società turca. Ma è una condizione tutt'al più necessaria, certamente non sufficiente. Guai a considerarla tale! Il peccato di presunzione di certi sedicenti o presunti esperti di «cose turche» s'infrange sugli scogli della pretesa avalutatività delle scienze sociali; un obiettivo forse umanamente irraggiungibile, ma al quale occorre sempre essere rivolti; viceversa, sì – e cito testualmente da uno di questi presunti esperti – occorre cambiare mestiere! Il vantaggio di «vivere» una questione o un fenomeno respirandone l’atmosfera dall’interno si sgonfia dinanzi allo svantaggio (enorme) di doversi barcamenare fra una moltitudine di prospettive e sentirsi costretti, nei casi di maggiore disonestà intellettuale, ad effettuare, di fatto, una «scelta di campo»; scelta di campo che, vivendo in quel determinato luogo, la mente umana, più o meno consciamente tende comunque ad operare. Sempre a scapito dell’avalutatività, elemento basilare del codice deontologico di uno scienziato sociale. Un vantaggio, quello di respirare l’atmosfera dall’interno e di osservare gli eventi da un punto di vista privilegiato, che, ancora, si scioglie di fronte al vantaggio (enorme) di osservare le cose esternamente, non lasciandosi coinvolgere personalmente e restando sempre comunque, sufficientemente distaccati, ideologicamente ed emotivamente, dall’oggetto di ricerca. Quella freddezza e quella capacità di tenere separati i giudizi di fatto dai giudizi di valore che un buono scienziato sociale dovrebbe affinare con gli anni. Pensate un po’ a quanti scienziati politici in Italia sono rimasti immuni dallo schierarsi a favore o contro Berlusconi. Quelli che mi vengono in mente si contano appena sulle dita di una mano. E nei fatti, l’unica scelta da fare in Turchia, contro ogni pretesa di susseguente avalutatività, era schierarsi a favore o contro Erdogan. Indovinate con chi si sono schierati, più o meno smaccatamente, i presunti o sedicenti esperti?  




[1] Alberto Gasparetto, Incognite e pericoli sul futuro della Turchia di Erdogan, Osservatorio di Politica Internazionale, 20 luglio 2016, http://www.bloglobal.net/2016/07/incognite-e-pericoli-sul-futuro-della-turchia-di-erdogan.html e Francesco Rossi, Turchia, Russia, UE, Usa: Intervista ad Alberto Gasparetto, 24emilia.com, 25 luglio 2016, http://www.24emilia.com/Sezione.jsp?titolo=Turchia%2C+Russia%2C+UE%2C+Usa%3A+il+grande+gioco+oggi&idSezione=74675.

Nessun commento:

Posta un commento